Ferigo: Focus sull’integrazione, Inwit guarderà all’estero

Giovanni Ferigo

L’Amministratore Delegato di INWIT, Giovanni Ferigo è stato intervistato da Il Sole 24 Ore. Nell’intervista, l’AD ha affrontato diversi temi riguardanti la società.

L’Amministratore Delegato di INWIT, Giovanni Ferigo è stato intervistato da Il Sole 24 Ore. Nell’intervista, l’AD ha affrontato diversi temi riguardanti la società

Ferigo ha sottolineato il grande successo della prima emissione obbligazionaria di INWIT dalla sua nascita  “La prima emissione, che serve a rifinanziare il debito contratto per realizzare la fusione delle torri, doveva essere di 500 milioni, con la previsione di salire eventualmente a 750 milioni – spiega Ferigo, appena riconfermato per un mandato triennale, periodo che coincide con la durata del patto parasociale trai due principali azionisti, Tim e Vodafone – Invece la domanda, proveniente in particolare da investitori italiani, UK, tedeschi e francesi, si è surriscaldata fino a 4,5 miliardi e il taglio è stato elevato a un miliardo”. Il bond – curato da Bnp-Paribas e Mediobanca quali global coordinator – offre un rendimento all’emissione sotto il 2% per la durata di sei anni. 

Ne seguiranno altri a breve, visto che l’indebitamento bancario da rifinanziare è dell’ordine di 3 miliardi? 

In realtà non abbiamo fretta. La prima linea di credito da rifinanziare, dell’importo di 1,5 miliardi, scade nel marzo del 2022. L’altro prestito scade tra cinque anni. Abbiamo comunque preferito comunque muoverci per tempo. 

C’è stato in qualche misura un effetto Italia? 

In misura contenuta. Con rendimenti sotto al 2% ci avviciniamo di molto a Cellnex, che è presente a livello internazionale ed è il benchmark nel settore. Abbiamo scelto questa settimana per la liquidità abbondante. È un contesto favorevole a una società come la nostra che ha ottenuto l’investment grade di Fitch con una valutazione di BBB-, mentre Standard e Poor’s ci ha assegnato il livello di BB+. 

Quale è il rapporto net debt/Ebitda e quale l’obiettivo? 

La fusione era partita ipotizzando un rapporto net debt/ Ebitda di 6, oggi siamo a 5,7, dopo aver pagato anche il dividendo straordinario. L’obiettivo è di rimanere in linea con i parametri del settore, intorno a 5 anche se fino a 6 è accettabile. Abbiamo una generazione di cassa importante che ci permette di ridurre la leva. 

Parliamo dell’operazione industriale. Mettere insieme le torri di Tim con quelle di Vodafone Italia significa avere due reti captive? 

Le torri non sono più in Tim da tempo, da quando è nata Inwit. Ma direi che con le 22mila torri di cui disponiamo oggi mettiamo insieme due realtà che sono diventate “maggiorenni”, uscendo da Tim e Vodafone. Certamente c’è molto lavoro di integrazione da fare, ma ci siamo dati una nuova organizzazione dove a ogni riga di budget corrisponde un responsabile verticale. 

Programmi? 

Intanto c’è da dire che fino alla firma del contratto avevamo dei vincoli e l’esame antitrust ha preso qualche mese in più del previsto, ma nel quarto trimestre penso cominceremo a viaggiare a velocità di crociera sui ricavi. 

Come è regolato il rapporto con Tim e Vodafone? 

C’è un accordo uguale per entrambe che contempla una prelazione sull’utilizzo dei nostri siti a condizioni migliori per noi rispetto al mercato. Sta a noi poi promuovere gli investimenti e l’innovazione per invogliare anche gli altri operatori ad avvalersi della nostra infrastruttura. Tra i terzi ci sono anche Iliad e Fastweb con Linkem. 

L’Antitrust vi “obbliga” ad aprire la rete. 

È un’opportunità. Nei Comuni con oltre 35mila abitanti ci chiedono di aprire in otto anni 4mila siti a operatori diversi da Tim e Vodafone, di cui 3mila nei prossimi tre anni. 

Siete diventati leader in Italia. C’è spazio per crescere ancora, magari con le mille torri tic di Eitowers? 

In realtà per coprire il territorio nazionale non abbiamo bisogno di altro: ci bastano le nostre 22mila torri. 

Se in Italia non potete più crescere, la nuova frontiera e un consolidamento all’estero? 

Adesso abbiamo davanti 18 mesi nei quali dovremo concentrarci sull’integrazione. All’estero ci si potrà pensare dopo. Certamente la presenza di un partner come Vodafone nell’azionariato potrebbe essere d’aiuto. 

A proposito di Vodafone, da li è arrivato anche capitale umano. 

Da Vodafone sono arrivate 64 tecnici di qualità, alcuni li conoscevo già perchè siamo stati in competizione accesa per diversi anni. Comunque stiamo procedendo anche a nuove assunzioni di giovani, per coprire una ventina di posizioni (su 192, ndr) a metà tra ruolo tecnico e staff.